sabato 17 ottobre 2015

Straight Outta Compton - The Movie

Non c'è che dire, la curiosità nel vedere "Straight Outta Compton - The Movie" era davvero tanta.

Per chi ha vissuto - seppure con un paio d'anni di ritardo rispetto alla pubblicazione originaria, risalente al 1988 - sulla propria pelle l'importanza di un disco seminale per l'intera storia dell'Hip-Hop, l'annuncio di un film di questo genere non poteva che rappresentare un sogno tramutato in una realtà assiduamente desiderata ma lontanamente realizzabile, se non altro perché tra la fine degli anni ottanta ed il principio dei fortunati anni novanta la situazione tecnologica era distante anni luce da tutti i dispositivi di cui godiamo oggi, ragion per la quale attorno agli artisti preferiti aleggiava un eccitante alone di mistero che impediva l'eccessiva immediatezza di cui si può usufruire in tempi moderni.

Era un'epoca in cui i canali dedicati ai video musicali si trovavano, perlomeno in Italia, a muovere i primi passi, internet sarebbe arrivato in tempi molto successivi e solo pochi fortunati potevano permettersi il lusso di captare miracolosamente MTV - e di conseguenza il suo arci-noto programma Yo! MTV Raps - una delle rare fonti visive per un genere che possedeva solo pochi spiccioli dell'enorme esposizione mediatica oggi dedicatagli, un fatto appesantito dal becero accanimento attuato dalla censura nei confronti dell'Hip-Hop più crudo e brutalmente onesto. Tale ricordo, che personalmente lega "Straight Outta Compton" a tanti altri lavori di pari valenza storica, farà sicuramente sorridere i più giovani, ma la realtà era quella e non proponeva alternative. Era già molto potersi permettere il lusso di reperire un negozio che vendesse dischi di Hip-Hop americano, scartabellando vinili e CD qua e là fissando nella memoria quella copertina capitata tante volte tra le mani, una fotografia ritraente un gruppo di ragazzi immortalati dal basso verso l'alto, gli sguardi torvi, il loro posizionamento a formare un cerchio, le pistole in mano.

Sarebbe partito tutto da lì, dal portarsi a casa un album rivoluzionario, analizzando minuziosamente i minacciosi protagonisti di quella copertina e cercando faticosamente di abbinare una faccia a una voce mentre le cuffie sparavano quelle rime grandiose e quei beat potentissimi, cercando poi conferme attraverso un video beccato per caso o grazie all'immagine di qualche altro disco. L'opera prima degli N.W.A. non è semplicemente un capitolo imprescindibile del grande libro dell'Hip-Hop, senza il quale tutto ciò che venne in seguito non sarebbe stato il medesimo e non avrebbe potuto fornire un uguale impatto, è soprattutto un pezzo di Cultura che mette in primo piano il finto sogno americano perbenista, quello che si atteggiava a scandalizzato per le liriche misogine e violente di un gruppo di ragazzi di colore che altro scopo non aveva se non quello di raccontare la propria verità di tutti i giorni, combattendo perennemente contro censure e insabbiamenti tesi solo a respingerli verso l'emarginazione da cui cercavano di emergere, facendo comodamente finta che non esistessero.

Ma veniamo alla pellicola, vista rigorosamente in lingua originale al fine di evitare le grossolane e talvolta deprimenti traduzioni e interpretazioni italiane, che con lo slang usato in questi casi perdono tremendamente efficacia.


"Straight Outta Compton" è un film molto interessante, seppur non privo di momenti confusi ed omissioni importanti, che alla fine della sua visione crea un deciso contrasto tra la soddisfazione data dal racconto di fatti che i fan avrebbero sempre voluto conoscere e quel pizzico di amaro che resta approfondendo a freddo alcune decisioni che, pur comprendendo il fatto di non poter inserire tutto in un film già vicino alle due ore e mezza, rimangono a modesto e personale parere criticabili.

Uno dei punti di forza del lavoro sta certamente nella ricreazione dell'ambiente e del vestiario dell'epoca, un qualcosa che è sempre rimasto ben definito nelle immagini fornite da materiale promozionale, dischi e video. Il tipico scenario offerto dai quartieri losangelini, i pezzi musicali inseriti nelle scene all'interno dei club, le magliette bianche extra large contrastanti con giacche e jeans rigorosamente di colore nero (allora era in voga lo slogan real men wear black), l'attenzione per dettagli come gli esatti cappellini che ognuno dei membri usava indossare (Dodgers, Kings e soprattutto Raiders, con l'entrata in scena del cap nero dei White Sox di Dre correttamente collocata in corrispondenza all'uscita di "The Chronic"), il taglio di capelli di Ice Cube tra il primo e il secondo disco solista, i tipici guanti neri senza dita indossati da Eazy-E nei live, sono tutti particolari molto apprezzabili per l'attenzione cui è stata loro rivolta.

I punti dove l'emozione sale non sono pochi e sono sorretti dai momenti chiave dai quali la storia viene poi sviluppata, nonché dalla corretta sottolineatura degli eventi più significativi dell'insieme. La revisione dei singoli eventi che portano ogni personaggio a convergere verso la formazione del gruppo è gestita in maniera essenziale ma precisa, i momenti da pelle d'oca non mancano e coincidono con tutte le tappe principali della breve esistenza della crew, la scelta degli attori è particolarmente azzeccata per Eazy-E e Dr. Dre, i cui alter ego non solo ne risaltano i simili tratti fisici ma svolgono un ottimo lavoro pure a livello espressivo, anche se il caso più clamoroso riguarda O'Shea Jackson Jr., figlio di Ice Cube, senza dubbio avvantaggiato rispetto agli altri per ovvi motivi genetici ma comunque molto, molto bravo nel ricreare le espressioni facciali del padre, unendole a una parlantina e una mimica di straordinaria concretezza. In fondo, essere il figlio di qualcuno non significa necessariamente saperne riprodurre fedelmente la figura e in questo caso il piccolo Cube vince a mani basse.

Il susseguirsi degli eventi individua con successo la figura di dubbio gusto del manager del gruppo, Jerry Heller, sottolineando il forte contrasto che creerà il distacco progressivo di Eazy-E dagli altri, è sufficientemente dettagliato nel ricreare la cronaca della dipartita di Ice Cube in un momento in cui il gruppo stava letteralmente facendo sfracelli, delineandone alcuni brevi ma significativi tratti della carriera solista (in particolar modo l'uscita dell'esplosiva "No Vaseline"), rievoca la genesi di "Boyz In The Hood", della fondamentale "8 Ball", della leggendaria "Fuck Tha Police", ma anche di "Nuthin' But A G Thang" e "California Love", ognuna delle quali crea il proprio piccolo grande momento di entusiastico sussulto. E, proprio usufruendo di un pezzo che venne perseguitato per incitare la violenza contro i poliziotti, il film centra uno dei suoi obiettivi giustificando quella rabbia cieca e collegandola alle immagini del pestaggio di Rodney King e al fuoco che attorniò South Central come se fosse l'ultimo giorno rimasto su questa Terra a seguito dell'assoluzione dei poliziotti responsabili dell'accaduto.

Veniamo ora ai risvolti negativi.

Se la prima parte del film è molto precisa nel collocare gli eventi, la seconda pecca alla grande tagliuzzando alcune circostanze per evidenti limiti di tempo. I minuti dedicati alla diramazione della carriera di Ice Cube sono sproporzionati rispetto alla frettolosa sequenza con cui si arriva alla separazione tra Eazy e Dre, mancando completamente di dettagliarne la faida. La scena di Eazy in preda alla frustrazione dinanzi ai cartelli che attestano le vendite milionarie di "The Chronic" è poco veritiera, perlomeno se relazionata alla totale assenza di cenni nei riguardi di pezzi come "Dre Day" o "Real Muthaphukkin' G's", il fulcro della nuova guerra di dissing interna al gruppo, un aspetto che avrebbe meritato uno spazio simile a quello dedicato al botta-e-risposta tra Cube e il resto dei Niggaz With Attitude.

Ma il secondo peccato è forse perfino peggiore del primo.

La figura di Mc Ren esce completamente e ingiustamente sminuita, relegato a personaggio di secondaria importanza (conseguenza anche della scelta di un attore poco centrato rispetto al Villain In Black per definizione) e lasciandone colpevolmente da parte l'importanza complessiva. Da molti riconosciuto come il miglior lyricist puro degli N.W.A., escludendo solo lo straordinario talento di Ice Cube, Ren ha firmato alcuni dei migliori momenti di "Straight Outta Compton" ("Quiet On Tha Set" ed "If It Ain’t Ruff" sono pietre miliari tanto quanto "Gangsta, Gangsta"), è stato il rapper più credibile del gruppo nel post Ice Cube recitando un ruolo non certo secondario nel sostenerne la fama pur non ricevendo un briciolo della gloria intascata da Dre, ha pure lui prodotto una carriera solista che, seppur non paragonabile a livello numerico alle vendite dei compari, avrebbe se non altro meritato una menzione.


Infine, i tratti di alcuni personaggi sembrano spingere eccessivamente lo spettatore in una direzione univoca, senza soffermarsi ad analizzare con la necessaria completezza tutti i punti di vista con cui si sarebbe potuto leggere un determinato protagonista. E qui emerge il taglio cinematografico dell'operazione, che tende a tappare buoni e cattivi in caratteri talvolta eccessivamente agli antipodi.

Alla fine dei conti, tuttavia, gli aspetti positivi sovrastano numericamente quelli negativi, considerazione legata a doppio filo con l'innegabile fascino dell'argomento trattato. Pur considerando la vocazione commerciale del progetto e il fatto che, essendo stato gestito e finanziato anche dai diretti protagonisti, si presti a una visione non del tutto completa delle vicende, "Straight Outta Compton - The Movie" è un film la cui visione è vivamente consigliata.

Perché? Perché gli N.W.A. all'epoca sganciarono una vera e propria bomba all'interno della cultura Hip-Hop, contribuendo fortemente a creare una ramificazione di un genere musicale da sempre capace di impensabili metamorfosi. Uno dei traguardi più importanti del lavoro, che venne raggiunto anche dal disco, è proprio quello di scavare dentro una violenza assai poco gratuita (nonostante le apparenze), facendo emergere la necessità primaria di gridare all'esterno la propria verità e il proprio disagio.

E questo gli N.W.A. l'hanno fatto meglio di tutti, diventando per sempre precursori dei tempi.

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